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Rivoluzione 4.0: la strada verso la sostenibilità

Sono sempre più convinto che finché non si ridurranno le disuguaglianze nel mondo, non potrà esserci uno sviluppo reale. Bisogna quindi che tutti uniscano le loro forze per scongiurare il pericolo di una crescita dimezzata: guidando uno dei gruppi italiani tra i più attivi su scala globale, sento in questo senso una responsabilità maggiore. L’ho ribadito anche lo scorso 16 settembre ad Assisi intervenendo in una conferenza sulla rivoluzione 4.0 che è stata organizzata nell’ambito del “Cortile di Francesco”: l’obiettivo ultimo deve essere, oggi più che mai, la creazione di un valore condiviso, non esclusivamente il profitto. Come si può rimanere fermi a guardare, sapendo ad esempio che due terzi della popolazione africana nel 2017 non ha ancora elettricità? Che le ultime due ‘Rivoluzioni’ hanno lasciato indietro circa l’80% della popolazione mondiale? Per qualcuno è il concetto di sviluppo stesso ad essere sbagliato, perché in passato ha portato a un ampliamento del gap tra chi ha e chi non ha. Non si può non riconoscerlo. Le colpe, però, non vanno ricercate nello sviluppo stesso, che è pur sempre positivo, ma in chi vi è dietro: l’uomo, che non lo utilizza in maniera efficace.

Oggi nuove opportunità arrivano dall’informatizzazione. Occorre smentire quegli studi secondo i quali la Rivoluzione 4.0 contribuirà ad allargare ulteriormente il gap, dal momento che i Paesi sviluppati sono più capaci di sfruttare le risorse digitali. Dobbiamo dimostrare che siamo in grado di andare nella direzione opposta, quella che porta a diminuire tale divario, anche grazie alla Rivoluzione 4.0: dal punto di vista ambientale è già dimostrato, infatti, che tendenze come l’informatizzazione, l’efficienza e il controllo dei processi stiano contribuendo a ridurre la CO2 immessa nell’atmosfera. Le stime parlano di 12 miliardi di tonnellate tra il 2016 e il 2025, in netto anticipo rispetto a quanto preventivato dalla Cop21 di Parigi.

Inoltre lo studio del Wef, oltre ai benefici in termini di CO2, presume che in dieci anni tale trasformazione produrrà 100 trilioni di dollari di ricaduta. E qui si gioca un passaggio fondamentale: il fatto che oggi milioni di persone dall’Africa siano costrette a spostarsi verso l’Europa significa che in passato occasioni come queste sono state sprecate, distribuendo tali risorse solo su alcune teste, le nostre, su quel 20% della popolazione sempre più ricco. Questi 100 trilioni di dollari devono invece essere utilizzati bene e reinvestiti in un’ottica non di profitto, ma di valore condiviso.

Dobbiamo aiutare gli altri. In Eni crediamo fortemente in questo e consideriamo importantissimi i budget per lo sviluppo socio-culturale e sanitario delle realtà in cui operiamo. Investiamo per rendere l’energia accessibile a tutti, anche se questo può significare portare a casa meno profitto. Come ad esempio in Africa: il gas che produciamo non lo esportiamo totalmente, ma una parte resta lì, per 18 milioni di persone che ne usufruiscono. È fondamentale per acquisire credibilità, ma soprattutto per creare valore: una strada che merita di essere percorsa.

Antonino Spano

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