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WEF 2018: le prossime sfide del settore energetico

Rientro da Davos, dove ho partecipato al World Economic Forum, portando con me l’entusiasmo che ho avvertito durante queste giornate. Ho assistito a numerosi eventi sul futuro del settore petrolifero ed energetico, sono anche intervenuto in qualche dibattito, e ho appurato che si guarda al domani con ottimismo, avendo piena consapevolezza delle sfide che dobbiamo ancora affrontare.

L’atmosfera mi è sembrata più rilassata rispetto agli anni scorsi: di sicuro ha inciso la performance del 2017. Si è verificato infatti un disavanzo di offerta rispetto alla domanda di greggio di 500 mila barili in media, che ha portato per la prima volta in tre anni a una riduzione delle scorte anno su anno di circa 160 milioni di barili. Lo stesso dovrebbe ripetersi anche nel 2018, con l’erosione di altri 100-150 milioni di barili arrivando a un equilibrio strutturale. Il nostro obiettivo ora è riuscire a mantenerlo, impedendo eccessive oscillazioni tra prezzi troppo alti o troppo bassi che possano diventare problematici per i consumatori e investitori.

In questo quadro un peso sempre più rilevante avrà la cooperazione, fondamentale per riuscire a fronteggiare i potenziali ostacoli che potrebbero derivare, ad esempio, dalle volatilità geopolitiche. Sul fronte dei produttori, l’accordo tra Paesi Opec e non ha riportato la stabilità, ma ancor più efficace sarebbe una intesa che coinvolga tutti i più grandi, come auspicato dall’Arabia Saudita, per evitare eccessi di produttività e incoraggiare gli investimenti.

Cooperazione per l’Europa si traduce invece nella necessità di definire una politica energetica comune: siamo un grande mercato, ma non abbiamo energia e questa è una debolezza che merita più attenzione. Gli USA hanno risorse e un mercato promettente, come i russi e i sauditi. Cina e India hanno energia, ma gliene occorre di più come è stato ribadito anche a Davos. L’Africa ha energia, ma finora non è riuscita a farla fruttare per la sua crescita interna come sappiamo bene in Eni: siamo i primi operatori in quei territori e lavoriamo a progetti che integrando il business Oil & Gas con le attività di sostenibilità ambientale e sociale possono favorire l’accesso all’energia delle popolazioni locali.

In Europa quindi le politiche energetiche nazionali non sono più sufficienti: occorre affrontare questa debolezza strutturale diversificando le fonti energetiche e incentivando la connessione delle tante infrastrutture su cui si è investito in passato tra i diversi Paesi. La Francia è divisa in tre, la Spagna è mal collegata e anche l’Italia sconta carenze in questo senso visto che i flussi da Sud a Nord faticano: le regole fiscali, doganali, e gestionali andrebbero riviste per essere rese più omogenee e semplici.

Sono sicuro che una politica energetica comune europea aiuterebbe a favorire anche le interconnessioni tra Europa e Africa: un’occasione importante nell’ottica di incentivare la diversificazione delle fonti. E l’Italia, già collegata all’Africa attraverso due importanti gasdotti, potrebbe diventare un eccellente hub: il bacino Mediterraneo, che come già sappiamo è ricco di gas, aprirebbe numerose opportunità anche per il nostro Paese.

Antonino Spano

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